Manutenzione, una parola che è stata pronunciata da molte persone e tante volte negli ultimi sei mesi. Gli addetti ai lavori, di cui faccio parte, si sono battuti per anni per far conoscere il mondo della manutenzione, come sistema di eccellenza tipicamente italiano.
Poi, come sempre capita in Italia, un evento estremamente funesto come la caduta del ponte Morandi, ha portato alla ribalta nazionale il ruolo della manutenzione ma purtroppo in senso negativo rimarcando secondo l’opinione pubblica la nostra incapacità di fare manutenzione.
Da operatore e appassionato del settore manutenzione dei veicoli ferroviari, mi sono sentito un po’ contrariato, come se tutto l’impegno profuso da me e da tutto il circo della manutenzione sia stato inutile, come se sia stato sottovalutato. Eppure la manutenzione è un mondo meravigliosamente complesso dove ingegneri, tecnici, manutentori, gestori di processo lavorano nella stessa “squadra” con l’unico obiettivo di mettere il bene in esercizio nelle “migliori” condizioni possibili per garantire la sicurezza e la regolarità della funzione che deve svolgere.
È ovvio che tra la “condizione migliore possibile” e la “condizione perfetta e ideale” si nasconda il “rischio” che possa succedere qualcosa, che possa accadere un incidente. Il circo della manutenzione ha questo giornaliero obiettivo: provare a minimizzare i potenziali rischi accettando che possano comunque esserci e che la migliore manutenzione non li può mai portare a zero.
Ma l’operatore di manutenzione è un “sognatore” poiché lavora con un obiettivo fisso e costante, “il rischio zero”, che sa di non poter raggiungere ma spera tutti i giorni di riuscirci tra mille difficoltà tecniche e operative.